Innanzitutto gli imprenditori sono convinti che il proprio Governo sia l’ente che si deve occupare di difendere gi interessi della categoria (57%), solo il 36% crede nei risultati della Comunità Europea, un 7% fornisce indicazioni differenti. L’attività dell’Esecutivo non trova però soddisfazione: infatti solo il 14% giudica sufficiente la pressione della Maggioranza sulle Istituzioni Europee volta a risolvere i problemi del comparto. Le norme Nazionali poi, per il 53% darebbero dei risultati positivi nella lotta alla contraffazione, contro il 47% che non vede una riduzione nella diffusione dei falsi.
Una delle leggi italiane che viene apprezzata e che con tutta probabilità verrà adottata anche dalla UE è quella sull’etichettatura obbligatoria (indicazione del Paese d’origine se situato al dì fuori della UE). Per il 59% degli interpellati questo si traduce in un vantaggio per le aziende italiane, il 18% crede che non porti dei cambiamenti per la facilità con la quale i prodotti possono essere falsificati, infine il 15% lo considera negativo perché colpisce le merci delle aziende italiane prodotte all’estero. In questo modo poi, oltre il 50% ritiene che le calzature e l’abbigliamento non potrebbero più fregiarsi del “Made in Italy” (sono i prodotti che maggiormente vedono la produzione fuori dai confini UE).
Un dato significativo e contraddittorio è quello riguardo la definizione di “Made in Italy”: oltre il 54% associa questa definizione solamente ai beni interamente realizzati in Italia, il 15% a quelli prodotti da aziende italiane ma con sede all’estero, il 13% alle merci assemblate in Italia con componenti realizzate all’estero, il 12% lo considera il valore aggiunto del prodotto in Italia.
L’etichettatura (che consente la conoscenza dell’esatta provenienza del capo) per il 66% spingerà il consumatore a scegliere il prodotto in base alla provenienza e quindi garanzia di qualità, il restante 34% ritiene che sia il costo a guidare l’acquisto.
Le ultime indicazioni riguardano gli strumenti di difesa su cui la UE dovrebbe insistere: il 37% allargherebbe l’etichettatura anche per i prodotti di origine di Paesi Comunitari, il 30% vorrebbe dei limiti alle importazioni, il 26% i dazi e il 9% dà indicazioni generiche. Nello specifico, i dazi contro la concorrenza a basso costo della Cina sono visti come un espediente temporaneo dal 54% degli intervistati, di contro il 24% li vede sempre efficaci mentre il 22% li ritiene dannosi perché inducono la Cina a fare altrettanto con nostri prodotti. Infine, anche i limiti alle importazioni sono visti come un espediente temporaneo (56%), il 27% li considera sempre efficaci e il 17% teme lo stesso provvedimento in direzione contraria da parte della Cina.