ACCORDI DI CO-BRANDING: TRA POSSIBILI OSTACOLI E OPPORTUNITA'
A cura dell'avv. Chiara Luzzato - Studio Torta
INPUT EMERSI DALL'INCONTRO CON GLI ASSOCIATI REALIZZATO IN DATA 25 MAGGIO 2021
Un brand forte, empatico e well-reputed
assicura un buon posizionamento sul
mercato ed è decisivo nell’ambito della comunicazione e delle attività
promo-pubblicitarie di un’impresa. Per questo il brand gioca un ruolo fondamentale
anche per gestire alleanze di
diversa natura: licensing,
cross-licensing, merchandising, sponsorizzazione e co-branding, una delle tante forme di co-marketing che consente a due imprese di allearsi per perseguire
un obiettivo comune, rafforzare la reciproca competitività e dividere il
rischio.
Celebre definizione è quella di Clayton Hillyer e Surinder Tikoo: “alleanza
tra due o più marche note che vengono presentate contestualmente al
consumatore, dando luogo ad una nuova offerta o ad un’offerta percepita come
diversa dal consumatore, grazie al supporto e alla presenza di una seconda
marca (marca invitata)”.
La condivisione del brand è quindi uno strumento di marketing e giuridico
che sovente le aziende sperimentano per fare fronte comune alle grandi risorse
richieste dal mercato in termini di idee, persone, professionalità, mezzi
economici, tempo, organizzazione ecc. e proporre al consumatore soluzioni
innovative, vincenti ed efficaci. L’anima del co-branding è quindi la “creatività” intesa come la capacità di
valorizzare il proprio marchio e la propria immagine aziendale anche attraverso
il brand altrui.
Esistono diverse tipologie di co-branding.
Si parla di co-branding
funzionale quando due marchi sono associati in modo da comunicare al consumatore
che c’è una collaborazione tra le aziende partner
nella realizzazione del prodotto co-branded.
Il co-branding simbolico, invece, si realizza quando al brand del produttore viene associato un
secondo marchio che ha solo valenza suggestiva.
Il co-branding di comunicazione,
infine, è una forma di alleanza e di combinazione di marchi che ha mero scopo
pubblicitario.
È
dunque evidente che, qualunque sia la forma di co-branding prescelta, mettere in gioco il proprio brand e associarlo
ad un altro – che sia coerente o quantomeno complementare rispetto al proprio –
può aprire, in maniera reciproca, nuove opportunità. Come per ogni iniziativa
imprenditoriale, tuttavia, è buona regola analizzare i potenziali vantaggi ma
anche il margine di rischio.
Da un lato, infatti, il co-branding
può:
- dare accesso a nuovi mercati, a una diversa tipologia di clientela, a
canali di vendita alternativi e quindi a maggiore visibilità, vendite e ricavi;
- ampliare la propria gamma di prodotti / servizi con il duplice effetto
di aumentare le vendite e soddisfare maggiormente il consumatore ed
eventualmente anche di erodere quote di mercato alla concorrenza;
- aumentare la notorietà del marchio / rafforzarlo;
- favorire economie di costo e di risorse sia sul fronte della produzione
che della commercializzazione e /o della pubblicità e promozione.
Dall’altro lato, però, con il co-branding non si può del tutto
escludere – a seconda dei casi – un rischio di perdita reputazionale, danno di
immagine, diminuzione del valore del brand,
calo di vendite e dei profitti che possono derivare, per esempio, da eventi che
coinvolgono l’azienda partner o dal flop del prodotto co-branded, da difficoltà di interazione e coordinamento con
l’impresa partner o ancora da assenza di coerenza o complementarietà dei due
brand associati.
In conclusione, per massimizzare i
vantaggi e minimizzare i rischi, è consigliabile affrontare gli accordi di co-branding in modo ragionato, partendo
da una chiara individuazione degli obiettivi e una oculata scelta del brand partner con cui condividere le strategie
e le realizzazione del progetto; avendo poi cura di mettere in atto anche una
buona procedura di controlli e verifiche.
Alla base di tutto, in ogni caso, devono
esserci adeguate tutele di marchio e di eventuali altri diritti di Proprietà Intellettuale
ed una solida base contrattuale.