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NEWS 13/09/2022
Confindustria - Analisi confini della responsabilità del datore di lavoro


Si trasmette l’analisi del Centro Studi Confindustria riguardo la sentenza n. 31478/2022 della Corte di Cassazione contenente importanti chiarimenti su:

- Efficacia della certificazione delle attrezzature;

- Definizione di luogo di lavoro;

- Limiti alla valutazione dei rischi.

Sommario

La sentenza in commento (Cass., sent. n. 31478/2022) si sofferma su alcuni punti essenziali dei confini della responsabilità del datore di lavoro, fornendo alcuni principi molto importanti (sia pure con i limiti che può avere una singola pronuncia, soprattutto nella parte innovativa): viene infatti ridefinita (in senso restrittivo) la sfera rispetto alla quale si applicano le regole sulla sicurezza sul lavoro (confermando una precedente giurisprudenza); viene garantito l’affidamento nella conformità tecnica dell’attrezzatura (affermando che l’omologazione non impone ulteriori verifiche rispetto a quelle condotte dall’ente preposto); viene ridimensionata la portata dell’obbligo di sicurezza assoluta (che, se non fosse stato valorizzato l’affidamento nella omologazione, avrebbe reso responsabile il datore di lavoro per non inciso ulteriormente con la propria valutazione dei rischi); viene ricondotta la definizione di luogo di lavoro esclusivamente alle aree sulle quali il datore di lavoro “ha potere conformativo”.

Premessa

La pronuncia appare importante perché interviene su diversi punti del diritto della sicurezza sul lavoro ciascuno dei quali merita un approfondimento (anche perché permangono comunque dei “coni d’ombra”). Da un lato, consente di fare ragione di alcune affermazioni pregresse orientate alla responsabilità oggettiva del datore di lavoro (in particolare, con riferimento alla irrilevanza delle certificazioni ed alla ampiezza della sfera di responsabilità del datore di lavoro); dall’altra, consente di leggere, in prospettiva, alcuni riflessi sia sulla organizzazione del lavoro (il concetto di lavoro nell’attività da remoto, es. riders o lavoro agile) sia sulle iniziative in campo comunitario (volte, ad esempio, a modificare in senso ampliativo il concetto di luogo di lavoro). Inoltre, dalla valutazione complessiva dei principi affermati, sembra emergere una nuova lettura del quadro normativo, orientata ad una applicazione delle regole della sicurezza e alla individuazione della responsabilità del datore di lavoro più saldamente ancorata alla prevedibilità ed alla colpevolezza, e non al generico principio della massima sicurezza possibile (da cui scaturisce sostanzialmente una responsabilità di posizione)

Il fatto

Un autocompattatore per la raccolta dei rifiuti, eseguendo una manovra di retromarcia per avvicinarsi ai cassonetti, ha investito una persona collocata dietro all’automezzo in un cono d’ombra non visibile dal conducente del mezzo. Si discute:

a. se il mezzo fosse idoneo, tale da legittimare affidamento del datore di lavoro, e quindi la presenza del  cono d’ombra e l’evento verificatosi a causa di quel difetto sia a lui imputabile pur in presenza di adeguata omologazione del mezzo

b. se la strada sia luogo di lavoro

c. se la valutazione dei rischi avrebbe dovuto avere ad oggetto misure organizzative e tecniche diverse ed ulteriori (conformare il mezzo di trasporto a ciascuno spazio stradale o utilizzare due lavoratori per superare il deficit di visibilità)

d. quale sia la sfera di responsabilità del datore di lavoro (con esclusione di obblighi inerenti al tema della circolazione stradale)

La sentenza afferma che la strada non è un luogo di lavoro, che l’omologazione genera un affidamento nella bontà dei sistemi di sicurezza tanto da escludere ogni ulteriore valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro e che il rischio generatosi (investimento del pedone) non rientra nei rischi lavorativi ma nei comuni rischi della circolazione stradale.

L’omologazione, l’affidamento e la valutazione dei rischi

Il primo punto d’interesse è relativo all’efficacia della omologazione ministeriale.

Premesso che l’omologazione è la procedura con cui uno Stato membro certifica che un tipo di veicolo, sistema, componente o entità tecnica è conforme alle pertinenti disposizioni amministrative e prescrizioni tecniche, la sua presenza, afferma la Corte, “non imponeva al suo utilizzatore di provvedere ad ulteriori verifiche, stante l'affidamento che l'utente può riporre sulla valutazione svolta dall'ente preposto in relazione alla sicurezza del veicolo ed al suo uso”.

In secondo luogo, la omologazione del mezzo ad essere condotto da un solo operatore esclude che possa imputarsi al datore di lavoro una carente valutazione dei rischi dalla quale sarebbe scaturita la necessità di adibire più lavoratori all'utilizzo del veicolo.

Questo sul presupposto della “assenza di elementi di conoscenza dell'oggettiva manchevolezza tecnica del mezzo” “non prevedibile dal suo datore di lavoro, stante l'omologazione del veicolo”.

Il principio importante affermato dalla sentenza, dunque, è l’applicazione del principio dell’affidamento nella omologazione della pubblica autorità.

 

La strada come luogo di lavoro

La definizione di luogo di lavoro contenuta nell’art. 62 del D.Lgs. 81/2008[1] presuppone la disponibilità giuridica dell’ambito gestito dal datore di lavoro, ancor più chiaramente espressa in tema di appalti nell’art. 26[2].

Il principio giuridico della responsabilità, quindi, segue la condizione che il lavoro si svolga all’interno di un ambiente sul quale il datore di lavoro possa esercitare la propria azione prevenzionale[3].

Resta evidente che ogni ambiente che non risponda a queste caratteristiche (sostanzialmente giuridiche) non può essere considerato luogo di lavoro.

Il caso concreto è quello della strada. La Cassazione precisa opportunamente a questo proposito, che non possono ritenersi luogo di lavoro né la zona di svuotamento dei cassonetti né qualunque tratto di strada pubblica o privata, trattandosi di “aree sulle quali egli non ha potere conformativo”.

Il senso del presupposto della disponibilità giuridica risiede dunque proprio nel potere conformativo che deve avere il datore di lavoro, e che evidentemente manca laddove il lavoro si svolga in luoghi differenti dall’azienda o dall’unità produttiva.

Nel caso di uso di attrezzature in luoghi non soggetti alla disponibilità giuridica del datore di lavoro, egli potrà, al più, “esclusivamente valutare se ricorrere ad un mezzo o ad un altro, a seconda delle caratteristiche dei luoghi, al fine di evitare di esporre i lavoratori a rischi di natura lavorativa, cioè derivante dall'uso delle attrezzature utilizzate, in quegli specifici luoghi”.

A queste utili riflessioni può farsi riferimento allorché si affronti il tema della valutazione dei rischi per il caso del cd ciclofattorino ovvero di svolgimento del lavoro agile. In entrambe le ipotesi, il datore di lavoro non ha ovviamente alcuna disponibilità giuridica dei luoghi frequentati da questo personale. È quindi evidente che ogni valutazione non possa che soffermarsi sui profili formativi ed informativi e su quelli di attenzione alla sicurezza dell’attrezzatura, laddove messa a disposizione dal datore di lavoro, risultando così impropria ogni altra valutazione che coinvolga profili diversi da quelli sopra indicati, con evidente inapplicabilità dell’intero Dlgs 81/2008 (prova ne sia la disciplina specifica dei lavoratori autonomi e dei collaboratori indicata dall’art. 3 del Dlgs 81/2008 proprio in considerazione delle modalità di lavoro).

Quanto alla prospettiva di una eventuale modifica del concetto di luogo di lavoro contenuto nella direttiva 654/1989[4],  ogni valutazione non può che partire dal principio – oggi riconfermato dalla giurisprudenza e dal dato normativo - secondo il quale la valutazione dei rischi presuppone la possibilità di adottare, applicare e modificare misure di sicurezza e, quindi, di disporre giuridicamente dell’oggetto sul quale si interviene (sia esso il luogo di lavoro sia essa l’organizzazione sia essa una attrezzatura).

In mancanza di tale possibilità di intervento, viene meno ogni logica di valutazione e l’estensione impropria oltre l’ambito della disponibilità giuridica trasforma impropriamente la logica della sicurezza, in quanto pone obblighi il cui adempimento è impossibile e responsabilità esclusivamente di posizione in capo al datore di lavoro datore di lavoro. La conseguente responsabilità avrebbe quindi oggettiva, che – sebbene tendenzialmente esclusa nel campo penale -  produrrebbe effetti verso il datore di lavoro in campo civile ed amministrativo, espandendo a dismisura ed impropriamente obblighi e responsabilità.

 

L’individuazione della sfera del rischio che il datore di lavoro è chiamato a governare

La sentenza si pone poi l’interrogativo rispetto alla “riconducibilità del rischio realizzatosi al novero dei rischi derivanti dallo svolgimento di attività lavorative, cui consegue l'applicabilità delle disposizioni di cui al d. Igs. 81/2008”, in altre parole “e il rischio concretizzatosi effettivamente inerisca agli obblighi del datore di lavoro, oppure costituisca la realizzazione di altro tipo di rischio che esula dai suoi doveri”.

Il presupposto è l’analisi in ordine al fatto che le regole della sicurezza sul lavoro sono chiamate a tutelare non solamente i lavoratori ma anche “ai terzi che si trovino nell'ambiente di lavoro”.

Risolta la questione del luogo di lavoro (con l’esclusione dei luoghi non soggetti alla signoria del datore di lavoro, come la strada) e della positiva omologazione del mezzo (con esclusione dl altre azioni da parte del datore di lavoro), la conclusione è che “il rischio concretizzatosi non può dirsi dipeso dalla violazione di un precetto rivolto alla tutela della salute dei lavoratori, in quanto esso non è scaturito dalla mancata mappatura dei luoghi di raccolta dei rifiuti o dall'errata scelta di un particolare mezzo con cui provvedervi -perché da utilizzare anche in retromarcia- ma dalla difettosità strutturale del mezzo, il quale, benché omologato, non consentiva la piena visuale della zona retrostante, essendovi un cono d'ombra non coperto né dagli specchietti retrovisori, né dalla telecamera posteriore”.

Il rischio concretizzatosi, quindi, “si pone al di fuori della sfera di gestione del datore di lavoro -che si è limitato ad adibire all'attività un automezzo specificamente omologato quale monoperatore, cui non era interdetta la retromarcia- esso inerendo piuttosto alla circolazione stradale”.

È molto importante che la sentenza abbia riaffrontato, sotto questo specifico versante, il tema della sfera di responsabilità connessa al fascio di obblighi che fanno capo al datore di lavoro per evidenziare l’esistenza di rischi non governabili dal datore di lavoro e per i quali una responsabilizzazione avrebbe, quindi, natura esclusivamente oggettiva, ossia senza colpa[5].

Il rapporto tra l’attrezzatura di lavoro e la valutazione dei rischi

La sentenza si sofferma anche sulla correttezza della valutazione dei rischi, ossia sul fatto che essa dovesse avere ad oggetto ulteriori verifiche rispetto alla correttezza dell’attrezzatura di lavoro omologata, tanto da introdurre una diversa organizzazione del lavoro introducendo un ulteriore lavoratore per l’esecuzione delle attività di raccolta dei rifiuti.

La risposta è negativa: l’omologazione per l’utilizzo del mezzo in sicurezza da parte di una persona sola esclude la necessità di valutare ulteriori rischi, sempre per il principio dell’affidamento nella certificazione governativa, la quale “garantisce che tutte le manovre -e quindi anche la retromarcia- possano essere fatte in sicurezza da una persona sola, con le dotazioni di cui esso è munito”.

Semmai il nodo, lasciato irrisolto dalla sentenza, è cosa avrebbe dovuto fare il datore di lavoro se si fosse avveduto della carenza: modificare l’attrezzatura e richiedere una nuova omologazione ovvero utilizzare l’attrezzatura ma adottare una valutazione dei rischi integrando gli effetti dell’omologazione con altri elementi (es. l’impiego di due persone).

 

Conclusione

I diversi punti toccati dalla sentenza, oltre a chiarire alcuni temi  d’interesse per le imprese, possono costituire un ulteriore tassello per il percorso di rivisitazione del D.Lgs. 81/2008, ormai non più attuale a fronte della profonda e rapida evoluzione del mondo del lavoro, sia sul versante dell’organizzazione del lavoro che su quello delle tecnologie utilizzate. Importante anche l’introduzione del principio di affidamento nella omologazione ministeriale, che consente di attribuire una efficacia scriminante al giudizio dell’autorità, finora irrilevante: per effetto dell’affidamento, l’obbligo previsto dall’art. 71 del D.Lgs. 81/2008[6] è quindi presuntivamente assolto mettendo a disposizione attrezzature omologate.

 

________________________________________

[1] Art. 62.  Ferme  restando  le  disposizioni  di  cui  al  titolo  I, si intendono per luoghi di lavoro,  unicamente ai fini della applicazione del  presente  titolo, i luoghi destinati a ospitare posti di lavoro, ubicati  all'interno  dell'azienda  o dell'unità produttiva, nonché ogni  altro luogo di pertinenza dell'azienda o dell'unità produttiva accessibile al lavoratore nell'ambito del proprio lavoro.

[2] Art. 26. Il datore di lavoro, in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture  all'impresa   appaltatrice   o   a   lavoratori   autonomi all'interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della  stessa,  nonché  nell'ambito  dell'intero  ciclo   produttivo dell'azienda medesima, sempre che abbia la  disponibilità  giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto  o  la  prestazione  di  lavoro autonomo…”:

[3] Sul punto, v. Cass., sent. n. 28444/2022; in tema di appalto, v. Cass., sent. n. 30809/2022

[4] Art. 2. “Ai fini della presente direttiva, per "luogo di lavoro" si intende il luogo destinato ad ospitare le postazioni di lavoro nei locali dell'impresa e/o dello stabilimento e qualsiasi altro luogo all'interno dell'area dell'impresa e/o dello stabilimento a cui il lavoratore ha accesso durante il corso del suo impiego”.

[5] Sul concetto di sfera di rischio, da ultimo, Cass., sent. n. 30814/2022

[6] Art. 71. “1.  Il  datore  di  lavoro  mette  a  disposizione  dei  lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di  cui  all'articolo  precedente, idonee ai fini della salute e  sicurezza  e  adeguate  al  lavoro  da svolgere o  adattate  a  tali  scopi  che  devono  essere  utilizzate conformemente alle  disposizioni  legislative  di  recepimento  delle direttive comunitarie”.







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